22 Marzo 2020

Lo stadio dello specchio

Jacques Lacan elabora e sviluppa tale idea per focalizzare l’attenzione sull’Io e sull’importanza delle sue funzioni all’interno di una concezione psicoanalitica post-freudiana.

Lo stadio dello specchio altro non è che un processo sotteso all’acquisizione di una forma di identificazione che  determina una modificazione nell’organizzazione psichica del bambino il quale da allora assumerà su di sé un’immagine speculare che diverrà matrice simbolica dell’Io primordiale. Questa immagine originaria prodotta, definita “co-ideale” (da cui origineranno tutte le successive identificazioni secondarie) deve però confrontarsi con la “prematurazione specifica della nascita” per la presenza di organi e apparati superiori ed evoluti rispetto alla incoordinazione motoria tipica dell’età (6 – 18 mesi). L’immagine speculare che il bambino vede riflessa serve a produrre in lui l’idea (gestaltica) della forma totale di  un corpo, il suo. Da ciò nasce la prima forma di alienazione la quale fungerà da contenitore per le future proiezioni dell’Io.

Considerando ciò che finora è emerso sembrerebbe che lo stadio dello specchio sia qualcosa di controproducente per il piccolo umano invece esso assolve una funzione fondamentale quale quella di stabilire un legame, un contatto tra Organismo e Realtà. Tuttavia la forma drammatica in cui tutto ciò si verifica alimenta veri e propri fantasmi nel bambino il quale si vedrà precipitare mentalmente da un’immagine frammentata ad una “totale” di tipo speculare. Da allora in poi si produrrà un’immagine alienante che segnerà il futuro sviluppo mentale del bambino ed il suo modo di confrontarsi con situazioni socialmente elaborate. Lacan descrive il processo che si verifica collocandolo in un arco temporale di circa 12 mesi.

Un bambino che si guarda allo specchio tra i 6 ed i 18 mesi diviene gradualmente cosciente della propria immagine riflessa:

  • nella prima fase egli identificherebbe la propria immagine con quella di uno sconosciuto (un altro da Sé)
  • nella seconda fase egli sarebbe in grado di riconoscere questo altro solo come immagine e non come reale
  • nella terza fase il bambino diviene consapevole che questo altro è la sua immagine riflessa. Allora arriverà ad acquisire un immagine unitaria ma anche separata dagli altri prendendo definitivamente coscienza di sé.

Tutto questo per Jacques Lacan legittima l’idea secondo cui una forma esteriore riflessa possa avere una funzione formativa nell’individuo. Egli sottolinea come l’aspetto strutturante del riconoscimento della propria immagine è dimostrato anche biologicamente; ad esempio, la maturazione della gonade nel piccione femmina avviene solo in seguito alla vista di un congenere, di cui poco importa il sesso.

 Lo stadio dello specchio rappresenta la matrice dalla quale prenderà forma l’Io ed è per questa ragione che il comportamento materno, verbale e non verbale, nel momento in cui il bambino si guarda allo specchio giocherà un ruolo fondamentale nella sua formazione, nel suo linguaggio e nella sua postura. La teoria di Lacan, quindi, focalizza l’attenzione sul ruolo assai rilevante che le madri avrebbero nella costruzione dell’autostima del proprio figlio. La madre con in braccio il proprio bambino dinanzi allo specchio dona al cucciolo d’uomo un momento fondamentale per lo sviluppo della sua personalità. Il bimbo dapprima vedrebbe un altro, poi incrociando lo sguardo della madre vivrebbe una sorta di insight intuendo che quella immagine è la sua. Avviene così la prima identificazione, immaginaria e dipendente dallo sguardo della madre (il bambino si identifica con la madre) ed in quanto tale “alienante”. Eccoci allora alla primordiale alienazione dell’Io (da cui l’idea lacaniana secondo cui il nucleo più profondo dell’Io sarebbe paranoico).

Abbiamo sin qui mostrato come il bambino tra i 6 e i 18 mesi, guardando la propria immagine riflessa in uno specchio attraverso lo sguardo della madre, arrivi a provare una qualche forma di gioia immaginandosi come un tutto, un Uno, un oggetto assoluto che si padroneggia al posto di un corpo in frammenti (corp morcélé) che gli causerebbe umiliazione e avvilimento. La gioia mostrata da questo infante potrebbe essere simile a quella di colui il quale riesce ad emanciparsi da una originaria condizione di prematurazione ontologica per accedere alla Realtà.

La complessità del pensiero di Lacan stimola in me l’idea di quanto sia difficoltoso e arduo approcciare al tema riguardo la dimensione ontologica della nascita e dell’origine di un apparato psichico e fisico così “divinamente” evoluto come quello umano ma allo stesso tempo biologicamente così fragile come testimoniato anche dagli effetti della diffusione epidemiologica attualmente in atto in Italia e nel resto del mondo.

Il problema della fragilità, apparentemente manifestata attraverso forme ansiogene e paure momentanee, è una questione di natura “sostanziale” poichè costringe l’uomo a confrontarsi con l’alterità. Non solo l’alterità altrui, ma anche e soprattutto la nostra  alterità. Dovremmo allora gradualmente divenire consapevoli di ciò, ossia dell’idea che per quanto ognuno di noi si sforzi siamo e saremo sempre “altro” rispetto a quell’immagine ideale di noi costruita fin dall’infanzia.

Unica soluzione sarebbe allora accogliere quest’alterità e ad accettare la nostra inadeguatezza, le nostre debolezze, i nostri limiti. In ogni essere umano c’è una “frattura”, una mancanza  di natura ontologica direbbe Lacan. Questa carenza rende insopportabili le nostre  fragilità  ma ci rende anche disponibili all’apertura nei confronti del desiderio e della gioia. Allora diviene plausibile l’idea salvifica, coerente con la visione occidentale cattolica che vive in noi europei, secondo la quale accogliere le nostre  fragilità potrebbe paradossalmente fortificarci anziché indebolirci.

Bibliografia:

  • J. Lacan, Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’io (1949) in Scritti (1966), Einaudi, Torino 1974 
  • https://www.stateofmind.it/2017/01/jacques-lacan-specchio/
  • https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/10/20/la-nostra-fragilita.html
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