11 Giugno 2020

Sant’Agostino: il tempo vissuto tra anima e corpo

Il Cristianesimo è ad oggi la religione più diffusa al mondo. I cristiani credono che Gesù sia il figlio di Dio ed aspettano il giorno del suo ritorno.

Alla luce della rilevanza e del condizionamento che esso ha avuto ed ha nella società umana possiamo considerare il Cristianesimo come qualcosa di altro rispetto ad una ben nota dottrina religiosa; esso è una cultura, una psicologia collettiva. E’la forma mentis degli occidentali (U. Galimberti, 2014). Noi “cristiani” siamo allora debitori nei confronti di un noto teologo, Aurelio Agostino d’Ippona, poiché a lui si deve il merito di aver introdotto e definito il concetto di “anima”. Ad Agostino spetta tuttavia anche il merito di aver descritto e approfondito con un acuta e intuitiva introspezione il concetto di “tempo” di cui si occupa nell’undicesimo dei tredici libri delle “Confessioni” di cui è composta l’intera opera autobiografica e lo fa in riferimento al discorso sulla Creazione.

Il vescovo di Ippona partendo da alcune riflessioni sull’idea di eternità in Dio, dal suo essere indipendente rispetto al concetto di tempo, in quanto suo creatore e iniziatore, ne elabora una rivoluzionaria teoria. Si chiede innanzitutto che cosa sia il tempo e constatando la sua inziale difficoltà nel definirlo intraprende un attento lavoro di speculazione filosofica. Agostino ritiene che il tempo non esista oggettivamente. Esso si divide in tre parti: passato, presente e futuro[1]. Tuttavia il passato non esiste in quanto non è più; il futuro non esiste in quanto non è ancora; e il presente attimo dopo attimo diventa passato, e se così non fosse sarebbe eternità e non presente. Pertanto il tempo, in quanto tale, non esiste; il passato viene visto come “memoria”, il futuro come “aspettativa” e il presente come “percezione”.[2]

Il “tempo” , riflette Agostino, risulta qualcosa di non misurabile e quantificabile diversamente dall’estensione spaziale che invece risulta oggetto di misurazione per tutta la durata dell’operazione. L’estensione temporale è allora instabile poiché passa dal non essere ancora (futuro) al non essere più (passato). Anche in un brevissimo tempo presente come un “minuto” posso distinguere, durante la sua misurazione, la parte che deve ancora venire, il futuro, da quella che già è finita nel passato; paradossalmente misurerei allora quel che di esso non è ancora e quel che di esso non è più fino a quando tutto il suo non ancora è diventato non più[3].

Se si comprende un tale esempio è lecito domandarsi se riguardo alla misurazione della dimensione temporale è possibile parlare di un’operazione reale o in caso contrario quale sia la natura della realtà considerata. Per Agostino la risposta risiede nell’ idea di estensione spirituale. Per cogliere la vera natura del tempo occorre quindi scrutarsi nell’interiorità. Il tempo diviene allora distensio animi cioè un distendersi dell’anima. Pertanto le cose non avrebbero più rilevanza nel loro trascorrere temporale ma solo ed esclusivamente nel vissuto interiore e nell’anima di ciascuno. L’anima consente allora di connettere le tre dimensioni temporali (passato, presente e futuro) in una dimensione perennemente presente in noi.

Il vissuto della dimensione “temporale” spesso correlata a quella “spaziale” appartiene a tutti gli individui umani, sani o malati che siano tuttavia è percepito da ogni singolo individuo in maniera assai diversa. Nei giovani ad esempio il tempo scorre lento quando si ha fretta di andare da qualche parte; negli adulti può scorrere troppo in fretta avendo la percezione che esso non basti mai. Pertanto il tempo pare suddividersi in una dimensione oggettiva, misurabile con strumenti e non sottoposta al controllo dell’uomo, ed in una dimensione soggettiva che, come intuìto da Agostino, viene concepita e misurata dalla coscienza. A tal proposito il vescovo scrive:

Come si assottiglia e si consuma il futuro che ancora non esiste? Come cresce il passato che non c’è più, se non perché nell’anima ci sono tutte e tre le cose (presente, passato e futuro)? Essa infatti attende, porge attenzione e ricordo di modo che ciò che aspetta diviene prima oggetto  dell’attenzione e poi memoria.

Come detto in precedenza Agostino giunge all’idea secondo cui la realtà del tempo risieda solo nel “presente”, unico tempo vissuto dall’uomo. Pertanto il passato è tale solo in funzione dei ricordi, il futuro solo in funzione delle anticipazioni.  Le attese ed i ricordi diventano sovente lo sfondo di molte psicopatologie in cui si innesta e manifesta la sintomatologia.


[1] Chi vorrà dirmi che non sono tre i tempi, come abbiamo imparato da bambini e insegnato ai bambini, ossia il passato, il presente e il futuro, ma che vi è solo il presente, poiché gli altri due non sono? O forse anche gli altri due sono, però il presente esce da un luogo occulto,allorché da futuro diviene presente, così come si ritrae inun luogo occulto, allorché da presente diviene passato? Inverità, chi predisse il futuro, dove lo vide, se il futuronon è ancora? Non si può vedere ciò che non è. Così chi narra il passato, non narrerebbe certamente il vero, se non lo vedesse con l’immaginazione. Ma se il passato non fosse affatto, non potrebbe in nessun modo essere visto. Bisogna concludere che tanto il futuro quanto il passato sono.[Sant’Agostino, Le Confessioni  XI, 17, 22]

[2] Un fatto è ora limpido e chiaro: né futuro né passato esistono. È inesatto dire che i tempi sono tre: passato, presente e futuro. Forse sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro. Queste tre specie di tempi esistono in qualche modo nell’animo e non le vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro l’attesa. Mi si permettano queste espressioni, e allora vedo e ammetto tre tempi, e tre tempi ci sono. Si dica ancora che i tempi sono tre: passato, presente e futuro, secondo l’espressione abusiva entrata nell’uso; si dica pure così: vedete, non vi bado, non contrasto né biasimo nessuno, purché si comprenda ciò che si dice: che il futuro ora non è, né il passato. Di rado noi ci esprimiamo esattamente; per lo più ci esprimiamo inesattamente, ma si riconosce cosa vogliamo dire. [Sant’Agostino, Le Confessioni XI, 20, 26]

[3]  [..] parliamo di tempi lunghi e tempi brevi riferendosi soltanto al passato o al futuro. Un tempo passato si chiama lungo se è, ad esempio, di cento anni prima; e così uno futuro è lungo se è di cento anni dopo; breve poi è il passato quando è, supponi, di dieci giorni prima, e breve il futuro di dieci giorni dopo. Ma come può essere lungo o breve ciò che non è? Il passato non è più, il futuro non è ancora. Dunque non dovremmo dire di un tempo che è lungo, ma dovremmo dire del passato che fu lungo, del futuro che sarà lungo. Signore mio, luce mia, la tua verità non deriderà l’uomo anche qui? Perché, questo tempo passato, che fu lungo, lo fu quando era già passato, o quando era ancora presente? Poteva essere lungo solo nel momento in cui era una cosa che potesse essere lunga. Una volta passato, non era più, e dunque non poteva nemmeno essere lungo, perché non era affatto. Quindi non dovremmo dire del tempo passato che fu lungo: poiché non troveremo nulla, che sia stato lungo, dal momento che non è, in quanto è passato. Diciamo invece che fu lungo quel tempo presente, perché mentre era presente, era lungo. Allora non era già passato, così da non essere; era una cosa, che poteva essere lunga. Appena passato, invece, cessò all’istante di essere lungo, poiché cessò di essere. [Sant’Agostino, Le Confessioni XI, 15, 18]

Bibliografia:

  • U. Galimberti – “Agostino D’Ippona: una eredità, una risorsa” – Loppiano, Ottobre 2014
  • Agostino D’Ippona XI libro,  Confessioni
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