9 Dicembre 2015

Il ruolo della famiglia nel paziente oncologico

Non è possibile aiutare in modo reale il malato che si trova ad affrontare una patologia ad esito infausto senza supportare la famiglia. Questo accade perchè la malattia terminale rappresenta un’esperienza fisica e psicologica a carico del paziente che risulta essere tanto grave da avere una portata estremamente vasta e tale da incidere anche sull’intero “sistema famigliare”. Tutto ciò agisce con l’intero processo di malattia in diversi modi. Innanzitutto i familiari influenzano il decorso della patologia terminale  attraverso il rapporto col paziente, fornendogli consigli, suggerimenti (modificandone talvolta la visione della malattia) e quel supporto di cui si ha bisogno; oppure prendendo vere e proprie decisioni al posto del paziente, qualora quest’ultimo, in fase ormai avanzata o in seguito all’insorgenza di complicanze, non sia in grado di prendere decisioni in maniera autonoma.

L’ esperienza della “malattia” costituisce un evento traumatico per i familiari stessi che possono reagire ad essa in modo più o meno adattivo. Nei casi più gravi è possibile che insorgano sintomi psichici riconducibili ad una vera e propria  patologia. Allo stesso tempo il nucleo familiare va incontro ad una modificazione significativa delle sue dinamiche interne oltre ad un cambiamento radicale nei ruoli dei singoli componenti, che risultano potenzialmente patologici. Nel momento in cui una persona si ammala, l’organizzazione familiare è obbligata a riaggiustarsi. Il paziente perde il ruolo di soggetto autonomo ed indipendente, i familiari divengono responsabili della sua vita e della sua malattia. La nuova condizione di “responsabilità” con cui si identificano i familiari determina specifiche reazioni.

Da alcuni anni ricerche effettuate nell’ambito delle malattie oncologiche documentano che un certo numero di pazienti e i loro familiari manifestano distress, ansia e depressioni gravi. Nello specifico tre sono i tipi di “reazioni familiari”: negazione, ipercoinvolgimento, distanziamento. Durante la fase della “negazione” la famiglia si comporta come se nulla fosse successo, trascurando la malattia del congiunto, la quale viene rimossa. La fase dell'”ipercoinvolgimento” è caratterizzata dalla presenza di un nuovo assetto familiare che si organizza intorno all’imperativo di curare il soggetto malato, accudirlo, sostenerlo e ridurne la sofferenza. In tali casi la famiglia si mobilita donando accoglienza, appoggio affettivo e qualsiasi tipo di azione attiva al fine di garantire al paziente il supporto di cui necessita. Può accadere anche che il paziente venga rifiutato dalla famiglia, la quale risponde negativamente al bisogno di attenzioni e cure, pur essendo ben consapevole dell’esistenza della malattia. Quest’ultima condizione si verifica in presenza di quella fase definita “distanziamento“.

Ogni famiglia nel confrontarsi con la diagnosi di malattia di un congiunto, quindi, attraversa un processo simile a quello del paziente: ad una prima fase di shock, stupore e angoscia fa seguito la fase del rifiuto della condizione vissuta. I fattori che interagiscono con la modalità di rapportarsi alla malattia sono di ordine “personale”, “sociale” e “fisico”. Da soggetto a soggetto sarà presente una specifica modalità di vivere emotivamente la malattia che determinerà un diverso grado di adattamento ai cambiamenti prodotti da essa ed alle minacce che da essa derivano (minacce di morte, di dolore, di cambiamento di ruoli e di impegni sociali, ecc.).

Altro aspetto meramente “personale” riguarda l’utilizzo e l’attuazione di specifici meccanismi di difesa (aggressività, ricerca di informazioni, negazione, ecc.). Il paziente che si ammala, perdendo il proprio ruolo abituale all’interno della famiglia, determina dei cambiamenti nei ruoli svolti dagli altri. Il richiedere costanti cure ed attenzioni è ad esempio causa di modifiche nello stile di vita e nelle relazioni di tutti i componenti del sistema familiare. In tal modo il paziente corre il rischio di divenire colui sul quale si manifesta tutto il disagio familiare. A causa della condizione di malattia la famiglia si trova costretta ad utilizzare un gran numero di risorse emotive e concrete, le quali saranno impiegate per affrontare la nuova realtà. Questo dispendio di energie debilita l’organizzazione familiare e causa una condizione di dipendenza e soggezione nei confronti dei medici e delle istituzioni sanitarie.     

                                      

Riferimento bibliografico:

Leonti A., Battimiello V., Iorio A., Del Forno D., “Le criticità nella medicina di fine vita: riflessioni etico-deontologiche e giuridico- economiche” , Buccelli C. (a cura di) Il supporto psicologico alla famiglia nel fine vita, Bartolotta srl, Napoli, 2014, pp. 387-398.

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