5 Marzo 2016

Il cibo ed il suo Simbolismo

Il cibo é molto più di ciò che mangiamo poiché coinvolge aspetti legati alla vita affettiva, relazionale ed emotiva. Esso fin dalla nascita é un’area di scambio tipica della coppia madre-bambino.
Il cibo assolve molteplici finalità “simboliche”; può sedurci, minacciarci, esser desiderabile, angosciarci, punirci. Questo complesso e profondo simbolismo é ben palesato nei racconti fiabeschi.

L’editoria è la TV parlano continuamente di cibo. Il comico Maurizio Crozza ha coniato ultimamente, a tal proposito, il termine “fornografia”. Spesso i soggetti affetti da patologie alimentari desiderano partecipare a talk shows e programmi inerenti tale argomento. Tra questi individui molto probabilmente non troveremo mai soggetti definibili “anoressici”. Essi, infatti, sono ben identificabili dal manifestarsi di alcune peculiarità comportamentali; prima tra tutte è il rifiuto di qualsiasi tipo di aiuto (l’eventuale partecipazione a tali programmi verrebbe infatti vissuta da loro come una vera e propria punizione).

Alla luce di tutto ciò il disturbo alimentare assume i connotati di un disturbo sociale e culturale. Non é casuale il fatto che molti soggetti anoressici, in special modo giovani donne, investono molto tempo nello sport o in generale in qualsiasi attività finalizzata alla modifica di aspetti corporei. Ricerche e contributi teorici legittimano l’idea che in tali situazioni vi sia un diniego della propria femminilità corporea dal momento che nell’esercizio di tali maniacali ed assidue attività (come ad esempio accade nel culturismo e nella danza) il risultato desiderabile riguarda la riduzione o l’eliminazione di quelle “rotondità” peculiari al prototipo di corpo femminile.

Storicamente l’approccio con il cibo relativamente al digiuno era assai differente tra uomo e donna. Secoli addietro i primi ferventi cristiani  a digiunare erano di sesso maschile. Essi portavano a compimento tale azione manifestando una grande forza di volontà; differentemente dalle prime donne cristiane, le quali, nell’ adottare tale comportamento, dichiaravano di non riuscire a mangiare.
Nel 1800 e nel 1900 i soggetti che manifestavano in pubblico comportamenti atti a digiunare e al non nutrirsi divennero celebri.
Nel 1979 Russell utilizza per la prima volta l’espressione “bulimia nervosa”. Da allora in poi si cercano di inquadrare nosograficamente tutte le insane interazione tra individuo e cibo.

La perdita di appetito è un sintomo tipico di molte patologie clinicamente significative come appunto la “bulimia” e l’”anoressia mentale”. In quest’ultima l’intera sintomatologia è centrata sul binomio cibo-corpo. La sfera mentale di un soggetto anoressico non viene mai compromessa, resta perfettamente efficiente e di solito “iperinvestita”, cioè è presente un corposo lavoro mentale che spesso si traduce in agiti maniacali e frenetici. Il rifiuto del cibo, ridotto progressivamente a quantità sempre più esigue, non è accompagnato da perdita dell’appetito. La fame infatti resta, smisurata.
Per alcuni autori e studiosi le anoressiche (gli anoressici sono rari; le stime parlano del 97% di malate di sesso femminile) cercano la fame, il cui non-soddisfacimento provocherebbe un piacere organico intenso. In tali casi si attuerebbe a livello istintuale una vera e propria perversione che porterebbe alla soddisfazione della “non soddisfazione”.
Queste ragazze da bambine non hanno mai dato grossi problemi, soprattutto di ordine alimentare. Tuttavia sono spesso cresciute all’ombra di un’esistenza falsa e falsata dalle richieste tacite e pressanti dei genitori. Hanno“ricevuto” e “subito” passivamente dal mondo esterno, incapaci di qualsiasi autonoma ed attiva rielaborazione. Cresciute buone, brave, ultra-coscienziose, con un buon rendimento scolastico, incarnano nella maggior parte dei casi l’ideale di perfezione di ogni buon insegnante o genitore, ma lo fanno in maniera esagerata. Il quadro familiare di solito è costituito da un padre assente fisicamente o emotivamente, secondo alcuni incorporato nella figura materna la quale viene percepita dalla giovane come magicamente onnipotente. Il più delle volte si tratta di una madre perfezionista, efficiente, autoritaria, che vuole il meglio dalla figlia. In altri casi invece siamo in presenza di una madre timida e insicura, casalinga e senza una occupazione lavorativa, che vive all’ombra di tutti. In quest’ultimo caso la madre ha il forte desiderio inconsapevole che la figlia realizzi ciò che lei non è stata capace di fare.

Entrambi i genitori di un soggetto che presenta disturbi del comportamento alimentare tendono a considerare lo stesso come un loro supporto narcisistico (cioè una sorta di “prolungamento di sé”), ed ogni comportamento autonomo che esca fuori dalle regole è giudicato negativamente. Il corpo diventa allora l’unico spazio su cui tali soggetti possono esercitare la loro autonomia. Le relazioni con il cibo, anche se in maniera indiretta e simbolica, traducono ed esplicitano la relazione con la madre. Pare legittima l’idea che la patologia vissuta racchiuda in sé una non avvenuta incorporazione dell’oggetto buono materno. Inoltre è presente una profonda e complessa problematica personale, infatti l’anoressica non può serenamente identificarsi con la madre e quindi diventare donna perché è dalla madre che deriva il rifiuto della “femminilità”. Nell’adolescenza il corpo della bambina non può più ubbidire a questo ordine, ed esplode nella sua determinazione ed individuazione sessuale. Tuttavia la psiche dell’anoressica non può ”incarnarsi” in quel corpo e quindi si trova “costretta” in una sorta di paradosso esistenziale.
Il dimagrimento o il rigonfiamento corporeo esasperato di un soggetto con tali disturbi modella quindi un corpo “efebico”, che ha come voluta conseguenza l’ annullamento delle peculiari e distintive rotondità femminili.

Questa inconsapevole azione determina una regressione a quella che Sigmund Freud definisce “fase orale” dello sviluppo, indotta dalla paura degli impulsi sessuali incestuosi del complesso di Edipo. L’atto di cibarsi verrebbe ad assumere il connotato simbolico di un atto sessuale incestuoso. Freud nelle sue opere non si interessò molto di anoressia; tutte le volte che tale patologia compare avviene in concomitanza con discorsi sull’isteria.
Carl Gustav Jung, altro noto psicoanalista del ventesimo secolo, tratta e definisce i disturbi alimentari come patologie nelle quali si verifica una regressione della libido sessuale, il digiuno ad esempio viene ad essere un sacrificio dell’IO assimilabile simbolicamente alla morte in vista di una futura rigenerazione.
In conclusione possiamo dire che i disturbi del comportamento alimentare sono condizioni estremamente complesse che hanno radici profonde nell’ambiente familiare di appartenenza (con esclusivo riferimento alla relazione madre-bambino che diviene carica di un inconscio e profondo simbolismo) le quali poi evolvono in situazioni psicologiche, biologiche e sociali.

 

 

 

Lo spunto per il suddetto articolo è stato offerto dall’ incontro formativo, a cui ho partecipato, organizzato dallo Ordine degli Psicologi della Regione Campania dal titolo “l’alimentazione nell’equilibrio mente-corpo”, tenutosi presso il Renaissance-Hotel Mediterraneo a Napoli il 7 Gennaio 2016.

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