6 Giugno 2018

Storia ed evoluzione della condizione anoressica

L’anoressia dal punto di vista clinico è uno dei più significativi disturbi alimentari. Attualmente riconosciuta e definita come disturbo del comportamento alimentare nel DSM edizione 5.
Il rifiuto del cibo e la paura di ingrassare contraddistinguono i principali sintomi di questa malattia; nelle forme più gravi possono svilupparsi malnutrizione, inedia, amenorrea ed emaciazione. Vi sono molte testimonianze dell’esistenza di questa condizione già nel Medioevo, ai giorni nostri  è usuale considerarla una patologia da associare al mondo industrializzato.

Il termine “anoressia” risale al V secolo a. C. e deriva dal greco an-orexis che significa  “mancanza di appetito”. Nel Medioevo  tale condizione era vista come un traguardo spirituale da raggiungere, una sorta di esperienza mistica che si conseguiva attraverso la mortificazione del proprio corpo. Era usuale all’epoca trovare donne le quali rifiutavano il cibo per distaccarsi dalla carnalità e cercare il ‘’matrimonio con Dio’’, fra queste si ricordano Santa Caterina da Siena e Sant’Angela da Foligno.

L’anoressia venne classificata come  vera e propria “malattia” nel 1689, quando il medico britannico Richard Morton pubblicò un’opera in cui descriveva un disturbo caratterizzato dal rifiuto del cibo in assenza di patologie manifeste, egli definì questo disturbo con il termine di “emaciazione nervosa”. Tuttavia già nel 1500 un medico genovese aveva studiato e descritto un quadro clinico simile. Lo psichiatra francese Louis Victor Marcé nel 1860 descrisse questo disturbo come predominante nel sesso femminile.

Se nel Medioevo la condizione dell’anoressia era prettamente legata alla dimensione religiosa oggi invece esistono vari fattori che predispongono a tale patologia tra i quali: avere un familiare che soffre o ha sofferto di disturbi alimentari; crescere in una famiglia in cui risulta difficile e frustrante esprimere i propri sentimenti e le proprie emozioni (in tali casi infatti l’anoressia diverrebbe un tentativo di comunicazione); problemi di autostima; delusioni affettive; appartenenza a gruppi sociali o di coetanei nei quali assume grande rilevanza il problema del peso corporeo.

Sono tante le giovani donne che si sentono inadeguate rispetto ai canoni di bellezza imposti dai mass-media. Ciò accadeva  soprattutto negli anni ’90 in cui corpi esili  sfilavano in passerella e venivano propinati massicciamente alla collettività. Le modelle di quegli anni ammettono oggi che a quel tempo avveniva tra loro una vera e propria gara di digiuno.

L’anoressia presenta un quadro clinico difficile da contrastare. Uno degli aspetti che ne ostacola pesantemente la guarigione è la “dismorfofobia”. Essa riguarda l’insoddisfazione nei confronti del proprio aspetto fisico che si manifesta in una percezione non obbiettiva del proprio peso (il soggetto infatti si vede grasso anche in una situazione di sottopeso evidente).

L’approccio psicologico nei confronti di tale patologia è cambiato nel corso degli anni. Una delle psicoanaliste che ha contributo ad un nuovo modo di intendere tale condizione clinica  è stata Maria Selvini Palazzoli, la quale, dopo aver sperimentato agli inizi del suo lavoro la psicoanalisi classica come terapia, decise di applicare una nuova metodologia che prendeva in carico l’intero nucleo familiare della paziente anoressica. Sulla base dei significati manifesti che caratterizzano la patologia pare legittimo ipotizzare che la componente familiare abbia un ruolo fondamentale e fondante. La particolarità della condizione anoressica riguarda i sintomi i quali sembrano non avere un significato metaforico; il canale comunicativo del linguaggio per la paziente anoressica pare rimanere interdetto. Unitamente al linguaggio anche la memoria di tali soggetti pare “sospesa” soprattutto quella di tipo rimemorativo, la quale, viene appunto stimolata e sollecitata dal linguaggio verbale e dai ricordi che attraverso esso vengono comunicati.

Secondo la Palazzoli le pazienti anoressiche hanno vissuto una relazione disturbata con la figura materna poiché questa pare non sia stata in grado di offrire risposte adeguate ai bisogni della propria figlia. Tutto ciò avrebbe come conseguenza l’organizzazione di un concetto di Sé impotente ed inefficace. Trattasi di madri che si occupano delle figlie in funzione dei propri bisogni oppure che impongono ad esse interpretazioni delle loro necessità o delle loro sensazioni.  In queste giovani  il corpo verrebbe esperito come qualcosa che appartiene alla madre, non a sé stesse. A causa di tutto ciò le pazienti anoressiche non sarebbero in grado di sviluppare un senso di autonomia e di auto-consapevolezza. La Palazzoli racconta di una sua paziente anoressica la quale alla domanda apparentemente semplice della terapeuta “come ti sei sentita in quella situazione?” dichiarò di non essere in grado di rispondere invitando la terapeuta a chiederlo alla madre.

Con il passare degli anni l’anoressia ha modificato alcuni aspetti che ne caratterizzano il modo di manifestarsi e le dinamiche psichiche ad essa sottostanti. Se dagli anni ’70 in poi questa si associò alla bulimia, nonostante già allora sussistevano rilevanti differenze, in epoca recente tale condizione si è inscritta pienamente nel mondo della realtà virtuale stimolando la nascita di gruppi in rete che sembrano idolatrare tale condizione.

Lo psicoanalista inglese Donald Winnicott ipotizzava che qualsiasi problema inerente il comportamento alimentare in un bambino presupponesse un dubbio sull’amore materno.
Quando ci si chiede come mai questa patologia sia molto più diffusa nelle donne possiamo rispondere introducendo il tema riguardante la “clinica del femminile” la quale, rispetto a quella del maschile, si caratterizza e differisce da essa per alcuni aspetti; uno dei quali pare riguardare proprio la presenza della radicalità della domanda d’amore.

Bigliografia:

R. Bell – La santa anoressia, 1985         

M. S. Palazzoli – L’anoressia mentale,   1998       

Dipartimento di salute mentale  ASL Na 1 – Corso di Antropologia,  Psicoterapia e Scienze Umane, 2018                                                 

Lascia un commento

Visit Us On FacebookVisit Us On Linkedin